lunedì 30 dicembre 2013
mercoledì 27 novembre 2013
domenica 6 ottobre 2013
Marsala, quasi per caso
Marsala, Italia, Marsa Alam, Egitto. Troppo simili i due toponimi per non tradire un'origine comune e troppo curioso io per non cercare di scoprirla. Mi basta aprire Wikipedia per avere la risposta: Marsa Allah vuol dire Il Porto di Allah, è così che la città siciliana è stata battezzata dai conquistatori arabi che nell'800 dopo Cristo da qui hanno iniziato la loro espansione nel sud del nostro paese, anche se forse parlare di battesimo è un po' fuori luogo visto che si trattava di conquistatori musulmani, ma ci siamo capiti. Il Porto di Dio quindi. Offrirà un ridosso della Madonna, penso! Purtroppo non è così, basta aprire la carta nautica per rendersi conto che è piuttosto esposto ai venti dei quadranti meridionali, almeno nella sua parte centrale, quella che conseguentemente costa meno, quella che ho scelto io per ragioni squisitamente economiche. Piazza Grande starà al pontile per qualche settimana, poi conto di metterla in secco ai primi di novembre, sia per stare tranquillo, sia per fare quei lavori che la cura regolare di un'imbarcazione impone. Marsala è anche il porto dove è sbarcato Garibaldi per iniziare la sua impresa con le mille camicie rosse, un luogo ricco di storia, insomma, cosa che me lo rende già simpatico prima ancora di arrivarci. Marsala è l'ultimo posto dove pensavo di finire quando sono partito, quattro mesi or sono; come ha detto qualcuno la vita è tutto quello che ci accade mentre siamo impegnati a progettare altro.
lunedì 30 settembre 2013
Sicilia, terra d'amuri
"Purtroppo siamo famosi nel mondo anche per qualcosa di negativo, quelle che voi chiamate piaghe. Una terribile e lei sa a cosa mi riferisco è L’Etna, il vulcano che quando si mette a fare i capricci distrugge paesi e villaggi. Ma è una bellezza naturale. Eeee ma c’è un’altra cosa e questa è veramente una piaga grave che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito: è la siccità. Da queste parti la terra d’estate brucia, è secca, una brutta cosa, ma è la natura e non ci possiamo fare niente. Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché, in buona sostanza, non è la natura ma l’uomo, è nella terza e più grave di queste piaghe, che veramente diffama la Sicilia ed in particolare Palermo agli occhi del mondo. Eeee lei ha già capito, è inutile che io glielo dico, mi vergogno a dirlo: è il traffico! Troppe macchine, è un traffico tentacolare, vorticoso che ci impedisce di vivere e ci fa nemici, famiglia contro famiglia".
Questa lunga citazione dal film di Benigni, Johnny Stecchino, per dire finalmente, fuori dai denti, la verità, sulla piaga che il tassista in quella scena sembra sempre alludere senza dire, quella piaga che veramente stritola la Sicilia e ne tiene lontane le persone nel timore di ritrovarsi loro malgrado invischiate in tragedie irrisolvibili. Sì, il vero problema di Palermo, il dramma che soffoca la città, che le impedisce di vivere e respirare, che la avviluppa come una piovra, è un altro: l'ormeggio!
giovedì 26 settembre 2013
Il Mar Ionio, insomma
Una delle cose belle di una lunga traversata a vela è l'imperscrutabilità dell'orario di arrivo. Generalmente quando si parte per un viaggio, lungo o corto che sia ed indipendentemente dal mezzo con cui ci si muove, si tara l'orario di partenza valutando la congruità di quello di arrivo. Ecco quindi che mille chilometri in macchina si affronteranno con una partenza in ore antelucane in modo di 300 miglia di mare, invece, non consentono calcoli, neanche con precisione spannometrica, potrebbero essere due giorni, come tre, o anche quattro, o addirittura condurre a rinuncia e rientro alla base di partenza in caso di condizioni meteo avverse. Si può partire quindi a qualunque ora, nel momento che se ne ha voglia, con calma, senza sveglie mattutine, tanto un momento vale l'altro. In considerazione di ciò o forse in considerazione della mezza sbronza della sera prima, ci alziamo verso le nove, Andrea va a comprare un po' di pane fresco mentre io riassetto la barca, poi togliamo il fiocco olimpico dal rollafiocco e lo sostituiamo con il genova di dimensioni più abbondanti, poi, sempre perché di fretta non ce n'è, aiuto la coppia norvegese ormeggiata di fianco a noi nel porto di Kalamos ad eliminare un fastidioso cigolio sulla trozza del boma spruzzandogli uno dei mille prodotti che ho a bordo ed infine, quando è chiaro a tutti che di partire, di lasciare la Grecia, non abbiamo molta voglia, molliamo finalmente l'ormeggio.
martedì 24 settembre 2013
Il Golfo di Patrasso contromano
E poi è arrivata la pioggia. Non quelle quattro gocce piccole e sottili che cadono e non cadono, leggere come coriandoli che si spargono in aria, bensì un acquazzone, un temporale vero e proprio che forse segna l'ineluttabile passaggio di stagione in questo settembre inoltrato. La sento picchiettare nel cuore della notte sulla coperta, sempre più forte, mentre me ne sto ben caldo in cuccetta saldamente ormeggiato al pontile transiti del marina di Patrasso, provando un senso di protezione dagli agenti esterni che è quasi una sorta di anamnesi di vita intrauterina. Forse non è un caso che la parola barca sia declinata al femminile. A destarmi dal torpore è un pensiero che mi coglie improvviso nel dormiveglia: l'oblò del bagno, è aperto! Due forze iniziano a contrastarsi duramente in me, una che dice che tanto il bagno è controstampato, praticamente è come se fosse un pezzo unico di plastica, quindi assolutamente impermeabile, l'altra che sostiene invece che con uno sgrullone di questa portata il problema sarà presto trasferito in sentina in modo copioso.
martedì 17 settembre 2013
Arrivederci Egeo
La notte è di quelle che fanno sognare, la brezza leggera increspa appena la superficie del mare e spinge Piazza Grande a poco meno di quattro nodi, non molto ma abbastanza per andare, a patto di non avere fretta e io non ne ho. Non fa freddo e non c'è umidità, all'orizzonte scorgo la sagoma scura di Idra, l'isola verso cui è puntata la mia prora, attorno a me le luci di via di un paio di mercantili ed a ovest un leggero baiore a marcare il punto dove il sole è calato giù fino a scomparire. Per il resto solo buio e silenzio e stelle, tante, come in città non capiterebbe mai di vedere. Lo so, avevo scritto che da Milos mi sarei diretto verso sud per girare attorno al Peloponneso e poi risalire lo Ionio, invece ho avuto un cambio di programma improvviso ed eccomi qua, nel cuore della notte, da solo, diretto ad Atene facendo un paio di tappe, c'è da andare a prendere Tommaso, non ha molti giorni, mi ha chiesto di avvicinarmi e lo sto facendo. Come si fa a dire di no ad un figlio che vuole salire a bordo?
lunedì 9 settembre 2013
100 giorni di mare
100 giorni
2350 miglia percorse di cui 1300 in solitaria
430 ore di navigazione
5,4 nodi la media della velocità
40 nodi il vento più forte preso in navigazione (Capo Sunio)
2 continenti (Europa, Asia)
3 nazioni (Italia, Grecia, Turchia)
4 mari (Tirreno, Ionio, Egeo, Marmara)
5 stretti importanti (Messina, Corinto, Kafireas, Dardanelli, Bosforo)
X000 ancoraggi, ormeggi, porti, rade, gavitelli, corpi morti, cime a terra, inglese, pacchetti
X00 isole e isolotti visitati
9 persone venute a bordo a navigare
4000 fotografie scattate
36 post inseriti nel blog
50 Kg di pesce pescato fra traina e pescasub
4 volte usato il tender di cui 1 a motore
... e non è finita!
venerdì 6 settembre 2013
Le piccole Cicladi, size matters
Dall'alto del kastro guardo il panorama attorno a me spandersi a 360 gradi fra piccole alture, mare, isolotti e nuclei abitati più o meno grandi che chiazzano di bianco il verde delle colline di Milos. Sono salito, conquistando la vetta gradino dopo gradino, per meglio osservare la situazione sul lato esposto al vento, verificando che forse questo è meno forte di quello che i vari siti meteo avevano previsto ma pur sempre sostenuto. Dopo di qui andrò ad ovest, verso il Peloponneso, la terraferma; Milos rappresenta quindi per me un punto, un confine oltre il quale l'Egeo costellato di isole diventerà un ricordo e lascerà spazio ad altri mari ed altre navigazioni, dato che per tornare a casa ho ancora più di mille miglia da fare. Sono seduto sullo scalino dell'onnipresente bianca chiesetta greca, sporadici turisti mi ronzano attorno scattando qualche foto con il telefonino, poi torna il silenzio, il leggero sibilo del vento ed il lontano riverbero del mare a fare da sottofondo. Sento i raggi caldi del sole sulla faccia e sulle braccia, respiro a pieni polmoni quest'aria mossa e carica di sale.
mercoledì 28 agosto 2013
Levitha, Kinaros e altri sassi
Sassi. Da calciare via, inutile intralcio, da lanciare in acqua cercandone il rimbalzo sulla superficie o lo spandersi di cerchi concentrici, sassi piccoli, grandi, sassi a punta o stondati, sassi da portare a casa, ricordo di un luogo che si è amato e che si vorrebbe proprio per sempre. I sassi non valgono niente, sono inutili, o forse sono semplicemente troppi per valere qualcosa, i grandi deserti della terra sono fatti di sassi. Ma a volte i sassi possono essere bellissimi, soprattutto quando la natura si è divertita a scolpirli, forgiandoli col vento, col tempo infinito, come infiniti sono i sassi. I sassi nel mare sono ancora più belli, a seconda della forma e della dimensione possono essere ciottoli, scogli, faraglioni, isolotti, isole, o promontori, capi, lingue di roccia che affiorano appena e che solo il frangere dell'onda su di esse rende evidenti ai naviganti.
martedì 27 agosto 2013
lunedì 26 agosto 2013
domenica 18 agosto 2013
Lipsi, bella senz'anima.
Il sirtaki sparato dagli altoparlanti della psarotaberna, il ristorantino di pesce, mi ronza nelle orecchie mentre leggermente ebbro di Mythos, la marca greca di birra, alzo gli occhi dal piatto ormai vuoto di sarde arrostite per osservare la variegata umanità che popola i tavolini all'aperto di questa piacevole sera d'estate. Sono a Lipsi con Michela e Andrea, siamo seduti attorno ad un tavolo imbandito senza tovaglia, abbiamo scelto la taverna più spartana del porto, aveva il sapore più verace e l'odore di pesce arrosto più invitante. Alle mie spalle il vociare soffuso di alcune coppie di italiani che dissertano di moussaka e tsaziki, confrontano quello che hanno nel piatto con quello mangiato il giorno prima, l'estate prima, sull'isola prima.
martedì 13 agosto 2013
Patmos, apocalipse now.
Lenta fra la nebbia, la lancia che trasportava il piccolo drappello di soldati americani con il compito di ritrovare ed eliminare il colonnello Kurtz, praticamente uscito di senno, risaliva il fiume Mekong per sfuggire alle imboscate dei vietcong, mentre la voce di Jim Morrison interpretava magistralmente l'emozione di quella che secondo il regista Coppola era l'Apocalisse adesso. Viceversa, il taxi che ci porta al monastero di San Giovanni e alla grotta dove la tradizione vuole che abbia scritto l'Apocalisse (allora, non adesso), procede a velocità sostenuta lungo i tornanti che conducono in cima alla collina dove l'imponente costruzione domina l'isola e le baie tutto intorno. Uno se ne sta in Grecia, convinto di trovare continui riferimenti alla cultura classica ed ellenistica, quando all'improvviso sbuca fuori un importante sito paleocristiano che più paleo non si può.
sabato 10 agosto 2013
Ikaria e Furnoi, la catabasi
Un forte scossone scuote Piazza Grande mentre siamo ancorati in una splendida e deserta caletta ridossata dai venti settentrionali. La barca sta brandeggiando, si sta muovendo cioè alternativamente a destra e sinistra sul fulcro dell'ancora, e ogni volta che arriva a fine corsa la catena va in tiro dando uno strattone che si ripercuote sullo scafo. Sono le 4 del mattino, dalla mia cuccetta sento le raffiche di vento scendere giù violente, rabbiose, dalla montagna che ci sovrasta, sento la cima che scarica la tensione della catena su una galloccia stridere ogni volta che va in tensione, sento lo sciabordio dell'acqua sulle murate, sento la fettuccia delle lifeline sbattere sulla coperta, sento il tintinnio della cimetta del tangone agitata come una piccola frusta, gli scricchiolii dei legni interni, amplificati dalla cabina fa da cassa di risonanza a tutti i rumori esterni.
venerdì 9 agosto 2013
martedì 6 agosto 2013
Katsari ed altre sorprese
In Grecia la sorpresa è sempre dietro l'angolo. E' talmente ricco di posti incantevoli questo paese, da lasciarli spesso buttati là con noncuranza, come se si trattasse di qualcosa di ordinario, scontato, quasi banale. Invece capita spesso che oltre un promontorio, un capo, uno scoglio, ci sia una spiaggia deserta, un porticciolo o qualche ricamo roccioso di quelli che la natura confeziona con la pazienza infinita del tempo. Da parecchi giorni gironzolo intorno a Chios e Psara, isole madre e figlia a ridosso della costa turca. La seconda m'è entrata nel cuore, è la mia isola, il posto dove mi sento estasiato e felice come un adolescente di fronte all'innnamorata, appagato dal solo fatto esserci e di essere; chissà se le due cose sono conseguenti.
venerdì 26 luglio 2013
Psara, silenzio e vento
In un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità,
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.
(F. De Andrè/E. Lee Masters)
La bellezza è negli occhi di chi guarda, è assiomatico. Ciò non significa che la bellezza è creata dalla fantasia dell'osservatore, ma che per apprezzarla bisogna avere l'animo predisposto a farlo. Passeggio lungo la strada che esce dal piccolo centro abitato di Psara, un'isola minuscola con circa 200 abitanti che si trova di fronte Chios, e costeggiando una spiaggia deserta osservo il vento sollevare la sabbia fina, pettinandola fino a formare le classiche piccole coste che connotano gli arenili non calpestati da piede umano. Ci sono solo io, è mezzogiorno, il sole è a picco ma il vento rende l'aria piacevole e fresca, oltre che secca. Guardo il piccolo vortice che si allarga fino a dissolversi e non vedo siccità nè desolazione, vedo piuttoso l'energia vigorosa di Madre Natura, odo il silenzio, l'assenza di rumori artificiali, meccanici o elettrificati, sento il sibilo del vento foriero di vita, il calore del sole sulla mia pelle, provo gioia.
martedì 23 luglio 2013
Mitilene: Saffo perdonali.
Ille mi par esse deo videtur.
(Catullo, Carmina, 51)
Mi risuona nella testa il celebre carme di Catullo, riadattamento (o saccheggio) dei bellissimi versi di Saffo: lui mi sembra un dio. Sei parole in tutto, mezza frase che basta però per definire in modo chiaro un contesto di amore perduto, forse di gelosia, sicuramente di sofferenza. Mi risuona in testa oggi, qui, in questo mare che bagna Lesbo, il luogo dove Saffo è nata; ma mi risuonano in testa da decenni, dal ginnasio, i versi dei due autori classici che più ho amato negli anni delle superiori. Difficile per un qualunque giovane preda della furia ormonale dell'adolescenza non essere estasiato da una poetessa di 2500 anni fa che si dichiara "innamorata dell'amore".
venerdì 19 luglio 2013
L'Eolia, 30 nodi di certezze
Se è vero, come spesso è vero, che nomina sunt consequentia rerum, il tratto di costa turca chiamata Eolia è tutto un programma. Ma siamo velisti, il vento ci è necessario come il pane, come l'acqua, come l'aria che respiriamo, è vento quello che ci entra nei polmoni, che ci accarezza la pelle o ce la fa accapponare quando soffia troppo forte per le misere forze nostre; perché siamo nulla di fronte al vento, siamo polvere spazzata via, siamo molecole che si mescolano all'acqua nebulizzata dal vento sulla superficie del mare. Il vento è vita, è energia, scuote gli animi, scompiglia le chiome degli alberi o ne plasma il fusto piegandolo al suo corso, vento rabbioso o gentile, vento di terra, di mare, vento che asciuga le lacrime di chi nel vento muore, di chi nel vento vive.
domenica 14 luglio 2013
Dietrofront, prima che il Mar di Marmara si svuoti
Sorseggiando una Efes gelata, l'ottima marca turca di birra, osservo
dall'alto di una terrazza che offre un'ampia veduta della penisola del
Corno d'oro il fitto andirivieni di traghetti alla fermata prospicente
il ponte di Galata. E' incredibile con quanta velocità e perizia vengano
effettuate le manovre di accosto e di attracco. Uno va, un'altro viene,
incessantemente, per collegare le due sponde del Bosforo in diversi
punti, trasportando ogni giorno decine di migliaia di persone che
saltano con indifferenza dall'Asia all'Europa, là dove la contiguità
sfuma, fino ad annullarla, qualunque diversità, sia del territorio che
degli individui. Osservo il brulicare di gente, variegatà umanità
scompigliata nei capelli dal forte vento, ed osservo me stesso,
scompigliato nei pensieri forse ancora di più.
lunedì 8 luglio 2013
Nel Bosforo, arteria pulsante di Istanbul
Istanbul è. Alcune città, alcuni luoghi, sono qualcosa, Istanbul è e basta. Il Bosforo l'attraversa tagliandola in due fisicamente, dividendola fra due continenti, ma senza spezzarne la continuità, è un mare che anzi unisce le due sponde, con traghetti e ponti, con milioni di persone che ogni giorno l'attraversano nei due sensi, incessantemente, instancabilmente. Ma la continuità di Istanbul non é monotonia, perché Istanbul è tutto ed il suo contrario, è il contrasto inimmaginabile, lo stridere fastidioso degli opposti, è est, è ovest, è Asia ed Europa, è modernità e tradizione, é ricchezza e povertà estreme. 16 milioni di persone ne fanno, per dimensione, una metropoli asiatica e infatti lo è, ma quanta Europa c'è a Istanbul, antica e moderna! Istanbul siamo noi, Costantinopoli, ma anche gli Ottomani, Bisanzio. Istanbul è passato e presente
giovedì 4 luglio 2013
Mar di Marmara
Sono le due del pomeriggio quando lascio il marina di Canakkale. E' stata una sosta tecnica, dovevo fare i documenti di ingresso in Turchia, ma ero anche curioso di visitare questa cittadina. E' piuttosto pulita ed ordinata ed ha un centro piacevole per una passeggiata, ho fatto bene a fermarmi. Sul lungomare fa bella mostra di sè un'enorme riproduzione del cavallo di Troia, che dista 30 km da qui, pare usata per il film Troy e poi donata dalla produzione alla città. Il transit log è costato 55 euro di spese vive e 30 di commissione per il tizio che si è occupato della cosa. Il portolano di Heikell e Radio Banchina parlavano di cifre molto più alte, addirittura consigliavano di fare le pratiche altrove, m'è andata bene. Nel marina ho conoscuito Sammy, un poveretto semiparalizzato da una grave malattia, come mi ha spiegato nel suo ottimo inglese ma che io non ho capito bene, nè indagato troppo. E' stato imbarcato per molti anni sulle navi da crocera, ha avuto due mogli, la seconda l'ha lasciato quando si è ammalato. Vive con un piccolo sussidio dell'assistenza pubblica e si arrangia con qualche traduzione. Passa le sue giornate nel marina, sorridendo a chi arriva, facendo buon viso al cattivo gioco che la vita gli ha riservato. Ama l'Italia, mi fa sentire tutta I love you in Portofino dal cellulare, ha voglia di chiacchierare e anche io, decido di offrirgli la cena, accetta di buon grado, andiamo insieme in un ristorantino turco, shis kebab, o quello che è, qui tutta la carne finisce con l'essere chiamata kebab. It's a shitty life this way, mi dice ad un tratto gelandomi; non so cosa dire, nascondo il mio imbarazzo cambiando discorso. Quando parto mi lascia il suo biglietto da visita, Business consultant, cerca di convincermi ad aprire una pizzeria o importare macchinari per la raccolta meccanizzata delle olive. Chissà, magari la dritta è buona.
L'idea è di uscire dai Dardanelli e mettermi all'ancora per la notte, ho individuato un buon punto sul lato nord, poche miglia dopo Gelibolu, Gallipoli, ne devo fare 30 per arrivarci, vista l'ora non posso indugiare molto. Il traffico di grandi navi sembra oggi ridotto, meglio così, navigherò più sereno, anche se un paio di quelle belle grosse mi passano da poppa a non più di 100 metri. Vedo l'appendice della loro prua fendere l'acqua alzandone una quantità enorme, poi un muro d'acciaio oscura la mia visuale per un paio di minuti, come un'eclissi, lasciandomi infine una scia maleodorante di fumo quando mi trovo sottovento ad esse. Navigare in questo canale è veramente antipatico, la corrente ed il vento hanno un'incostanza incredibile che costringe ad aggiustamenti continui della velatura ed a incessanti correzioni al pilota automatico, non trovo praticamente mai pace. Schivo un paio di traghetti che uniscono Gallipoli alla sponda opposta, sentendomi come il bersaglio di un videogioco, poi finalmente sono fuori, il Mar di Marmara mi accoglie con un bellissimo tramonto ed un vento che si è fatto lieve e mi accarezza fino a che trovo il posto giusto per calare l'ancora. Sono vicino ad un paio di petroliere alla fonda, di fronte a me un bellissimo paesaggio fatto di campi coltivati e dolci colline, potrebbe essere la Toscana, tanto è aggraziato. Il sole tramonta, rosseggiando sul mare, dopo cena cala il vento definitivamente ed io passo una notte un po' ballerina a causa un'ondina morta residua che fa rollare Piazza Grande.
Alle 6 capisco che non riprenderò più sonno e mi alzo, pronto ad affrontare un altro pezzetto di questa lunga rotta. Mi restano un centinaio di miglia fino a Istanbul, voglio spezzarle in due fermandomi sull'isola di Marmara, la principale del piccolo arcipelago che da nome al mare che lo bagna. Però, anzichè nel porto principale, decido di puntare Asmalikoy, un porticciolo un po' sperduto di quelli che piacciono a me e di cui il portolano testualmente dice: uno scenario quasi inquietante che ricorda i luoghi immaginari descritti ne Il signore degli anelli. Dato che non ho visto nè letto Il signore degli anelli, decido di farmi una cultura in materia direttamente in loco e metto la barca in rotta.
Vela o motore? Me lo chiedo un centinaio di volte durante la giornata, mai una regolazione risulta buona per più di 10 minuti, il vento cambia continuamente di intensità, passando dai 5 ai 25 nodi e viceversa. Vado a motore, apro le vele, 5 minuti e devo prendere una mano di terzaroli, forse anche qualcosa in più se non voglio stare troppo sbandato, ma che dico, c'è calma piatta, riaccendo il motore, no meglio aprire almeno la randa... e via così per tutta la mattina. Sono questi i momenti in cui ringrazi la sorte di averti dato una barca con entrambe le vele rollabili, alla faccia della performance. Questi numeri quasi da circo li faccio in autostrada contromano. Mi spiego: tutto il traffico marittimo dal Mar Nero all'Egeo è regolato secondo il principio elementare di tenere la dritta, come in macchina. Quindi, chi va verso Istanbul sta a destra, chi viene sta a sinistra. Io però ero alla fonda sul lato sinistro, quindi per raggiungere la mia corsia di marcia devo forza tagliare quella del senso opposto, con molta cautela, visti i bestioni che viaggiano da queste parti, però devo farlo per forza. Un paio di navi, che tengo molto sotto controllo sia a vista sia sul radar (AIS), suonano la sirena quando sono a poche centinaia di metri da loro, nel timore che non le abbia viste e non dia loro la precedenza che gli spetta. Il forte suono, cupo e nasale, mi echeggia in testa rimbombando nelle trombe di Eustachio e facendomi sentire un po' come il matto della barzelletta, quello che aveva imboccato l'autostrada contromano. Quando finalmente sono nella mia corsia ho quasi voglia di cercare un Autogrill per pipì e caffè.
Ma se l'impatto con le navi è scongiurato, i loro effetti indiretti non sono da trascurare, primo fra tutti le onde che sollevano. Una volta stabilita l'altezza media che generano, si sta tranquilli, fino a quando passa un bestione che, per imperscrutabili ragioni ne alza un treno molto più alto. Me ne sto spaparanzato al sole quando vedo un frangente che non dovrebbe esserci. E' un attimo, afferro un tientibene, Piazza Grande sbatte la prua un paio di volte poi... noooooo! I due piccoli oblò di prua sono aperti! Ecco trovato un passatempo per la prossima ora, asciugare tutta l'acqua che è entrata, meno male che era chiuso il passauomo, sennò c'era da sgottare per due giorni.
Comunque sia, ho il mare di prua e sono costretto a poggiare, che sia vela o sia motore, non si riesce a tenere la rotta sull'isola di Marmara. Vado avanti così per alcune ore, fino a quando il vento mi da un "buono" inaspettato e orzo di parecchi gradi, decidendo di passare nello stretto fra l'Isola di Avsa e l'isolotto che gli sta di fronte. Controllo la carta, controllo il portolano, passaggio tranquillo. All'orizzonte però vedo una lingua orizzontale bianca che sembra proprio un frangiflutti. Rallento l'andatura, anche perchè sulla sinistra c'è una meda che segnala una secca pericolosa, e solo quando sono molto vicino vedo che c'è un piccolo porto non segnalato da nessuna parte. Possibile? Eppure è così! Viene quasi da credere a Schettino che dice che Le Scole non erano sulla carta del Giglio... no, vabbè, non esageriamo. La navigazione procede senza altri intralci, mi guardo attorno, mi avvicino alla costa per osservarla meglio, è molto bella, molto verde, poco edificata e con scogliere a picco che si alternano a piccole spiagge. Mi domando perchè il Mar di Marmara abbia una così cattiva fama, il paesaggio è veramente greadevole, poco il turismo terrestre, esclusivamente turco, e praticamente inesistente quello nautico, in tutta la giornata ho incrociato sì e no un paio di barche. Purtroppo è pieno fino all'inverosimile di meduse, di un tipo che non ho mai visto altrove, impossibile anche solo fare un tuffo. E pure l'acqua non è di un colore proprio invitante...
L'idea è di uscire dai Dardanelli e mettermi all'ancora per la notte, ho individuato un buon punto sul lato nord, poche miglia dopo Gelibolu, Gallipoli, ne devo fare 30 per arrivarci, vista l'ora non posso indugiare molto. Il traffico di grandi navi sembra oggi ridotto, meglio così, navigherò più sereno, anche se un paio di quelle belle grosse mi passano da poppa a non più di 100 metri. Vedo l'appendice della loro prua fendere l'acqua alzandone una quantità enorme, poi un muro d'acciaio oscura la mia visuale per un paio di minuti, come un'eclissi, lasciandomi infine una scia maleodorante di fumo quando mi trovo sottovento ad esse. Navigare in questo canale è veramente antipatico, la corrente ed il vento hanno un'incostanza incredibile che costringe ad aggiustamenti continui della velatura ed a incessanti correzioni al pilota automatico, non trovo praticamente mai pace. Schivo un paio di traghetti che uniscono Gallipoli alla sponda opposta, sentendomi come il bersaglio di un videogioco, poi finalmente sono fuori, il Mar di Marmara mi accoglie con un bellissimo tramonto ed un vento che si è fatto lieve e mi accarezza fino a che trovo il posto giusto per calare l'ancora. Sono vicino ad un paio di petroliere alla fonda, di fronte a me un bellissimo paesaggio fatto di campi coltivati e dolci colline, potrebbe essere la Toscana, tanto è aggraziato. Il sole tramonta, rosseggiando sul mare, dopo cena cala il vento definitivamente ed io passo una notte un po' ballerina a causa un'ondina morta residua che fa rollare Piazza Grande.
Alle 6 capisco che non riprenderò più sonno e mi alzo, pronto ad affrontare un altro pezzetto di questa lunga rotta. Mi restano un centinaio di miglia fino a Istanbul, voglio spezzarle in due fermandomi sull'isola di Marmara, la principale del piccolo arcipelago che da nome al mare che lo bagna. Però, anzichè nel porto principale, decido di puntare Asmalikoy, un porticciolo un po' sperduto di quelli che piacciono a me e di cui il portolano testualmente dice: uno scenario quasi inquietante che ricorda i luoghi immaginari descritti ne Il signore degli anelli. Dato che non ho visto nè letto Il signore degli anelli, decido di farmi una cultura in materia direttamente in loco e metto la barca in rotta.
Vela o motore? Me lo chiedo un centinaio di volte durante la giornata, mai una regolazione risulta buona per più di 10 minuti, il vento cambia continuamente di intensità, passando dai 5 ai 25 nodi e viceversa. Vado a motore, apro le vele, 5 minuti e devo prendere una mano di terzaroli, forse anche qualcosa in più se non voglio stare troppo sbandato, ma che dico, c'è calma piatta, riaccendo il motore, no meglio aprire almeno la randa... e via così per tutta la mattina. Sono questi i momenti in cui ringrazi la sorte di averti dato una barca con entrambe le vele rollabili, alla faccia della performance. Questi numeri quasi da circo li faccio in autostrada contromano. Mi spiego: tutto il traffico marittimo dal Mar Nero all'Egeo è regolato secondo il principio elementare di tenere la dritta, come in macchina. Quindi, chi va verso Istanbul sta a destra, chi viene sta a sinistra. Io però ero alla fonda sul lato sinistro, quindi per raggiungere la mia corsia di marcia devo forza tagliare quella del senso opposto, con molta cautela, visti i bestioni che viaggiano da queste parti, però devo farlo per forza. Un paio di navi, che tengo molto sotto controllo sia a vista sia sul radar (AIS), suonano la sirena quando sono a poche centinaia di metri da loro, nel timore che non le abbia viste e non dia loro la precedenza che gli spetta. Il forte suono, cupo e nasale, mi echeggia in testa rimbombando nelle trombe di Eustachio e facendomi sentire un po' come il matto della barzelletta, quello che aveva imboccato l'autostrada contromano. Quando finalmente sono nella mia corsia ho quasi voglia di cercare un Autogrill per pipì e caffè.
Ma se l'impatto con le navi è scongiurato, i loro effetti indiretti non sono da trascurare, primo fra tutti le onde che sollevano. Una volta stabilita l'altezza media che generano, si sta tranquilli, fino a quando passa un bestione che, per imperscrutabili ragioni ne alza un treno molto più alto. Me ne sto spaparanzato al sole quando vedo un frangente che non dovrebbe esserci. E' un attimo, afferro un tientibene, Piazza Grande sbatte la prua un paio di volte poi... noooooo! I due piccoli oblò di prua sono aperti! Ecco trovato un passatempo per la prossima ora, asciugare tutta l'acqua che è entrata, meno male che era chiuso il passauomo, sennò c'era da sgottare per due giorni.
Comunque sia, ho il mare di prua e sono costretto a poggiare, che sia vela o sia motore, non si riesce a tenere la rotta sull'isola di Marmara. Vado avanti così per alcune ore, fino a quando il vento mi da un "buono" inaspettato e orzo di parecchi gradi, decidendo di passare nello stretto fra l'Isola di Avsa e l'isolotto che gli sta di fronte. Controllo la carta, controllo il portolano, passaggio tranquillo. All'orizzonte però vedo una lingua orizzontale bianca che sembra proprio un frangiflutti. Rallento l'andatura, anche perchè sulla sinistra c'è una meda che segnala una secca pericolosa, e solo quando sono molto vicino vedo che c'è un piccolo porto non segnalato da nessuna parte. Possibile? Eppure è così! Viene quasi da credere a Schettino che dice che Le Scole non erano sulla carta del Giglio... no, vabbè, non esageriamo. La navigazione procede senza altri intralci, mi guardo attorno, mi avvicino alla costa per osservarla meglio, è molto bella, molto verde, poco edificata e con scogliere a picco che si alternano a piccole spiagge. Mi domando perchè il Mar di Marmara abbia una così cattiva fama, il paesaggio è veramente greadevole, poco il turismo terrestre, esclusivamente turco, e praticamente inesistente quello nautico, in tutta la giornata ho incrociato sì e no un paio di barche. Purtroppo è pieno fino all'inverosimile di meduse, di un tipo che non ho mai visto altrove, impossibile anche solo fare un tuffo. E pure l'acqua non è di un colore proprio invitante...
Verso le 5 entro nel porto di Asmalikoy, praticamente deserto, qualche barchino da pesca su un lato, sull'altro solo una vecchia ciabatta di legno con un palo in coperta ed una badiera russa a brandelli a poppa. Decido di mettermi all'inglese, come i russi, ma un vecchietto in banchina mi fa segno di mettermi di poppa: hai visto mai occupassi troppo spazio! Mi prende le cime, fa la gassa anzichè ripassarmele a doppino, ma non importa, poi mi dice qualcosa in turco, che ovviamente non capisco. Allora chiama in soccorso un tizio che sta poco più in là con la sua barca, che arriva e mi parla in tedesco. Niente, non ci siamo proprio. Provo ad azzardare una domanda, se c'è un'autorità portuale a cui va comunicato l'ormeggio. E' il loro turno ad essere perplessi. La comunicazione si sblocca quando mimo il saluto militare, non s'è mai visto un italiano non riesce a farsi capire con qualche gesto.
Alla fine anche io capisco loro, bisogna pagare per l'ormeggio. Per dirmi la cifra arriva in aiuto la figlia in età scolare del secondo tizio, che sa contare in inglese: 30 lire turche o 12 euro che dir si voglia. Mi pare sinceramente troppo, mostro un biglietto da 20 lire, il vecchietto fa segno di sì, le prende e sparisce via. Scendo a terra per qualche foto, il tizio con la bambina anglofona mi dice "Turkish beer", non ho idea di cosa voglia dirmi, ma per non sapere nè leggere nè scrivere rispondo yes. Lui stappa una bottiglia e me la passa con un sorriso. Vorrei dirgli che noi a Portofino o a Taormina facciamo lo stesso, appena arriva un turco con cui non riusciamo neanche a dire due parole gli offriamo da bere. Ma c'è l'ostacolo linguistico e forse per questa volta è meglio così. Più tardi ricambio la cortesia con mezza caciottina greca che ho comprato l'altro giorno a Lemnos: typical italian, gli dico, tanto che ne sa, ti pare che se ne accorge. Mi sorride, gli sorrido, usciamo contenti entrambi da questo scambio culturale. Spero solo che i greci non insaporiscano il formaggio con il lardo o qualche altro grasso animale proibito dal profeta, nel caso che Allah mi perdoni per aver condotto sulla via del peccato una sua pecorella.
Se tutti i paesini italiani hanno la loro chiesetta con il suo campanile che svetta fra i tetti, i paesini turchi hanno la moschea con il minareto. Belli entrambi, ma se nel primo caso si patisce qualche scampanata, nel secondo si subisce un vero e proprio martirio acustico. Cinque volte al giorno, ad orari prestabiliti, il muezzin, anzi un nastro registrato o forse negli ultimi tempi un Ipod, ricorda a chi se lo fosse scordato che Allah è grande. Una di queste litanie è schedulata per le 4.30 del mattino, ad un volume che farebbe sentire a casa un disk-jokey. La serie di gorgheggi mistici va avanti per diversi minuti, con pause di alcuni secondi fra un fraseggio musicale e l'altro, illudendo ogni volta che sia finita lì. Verrebbe voglia di tirargli qualcosa o di andare a svegliare l'imam quando se la dorme profonda lui.
Ben presto quindi, il mare che poco fa era tempestato di enormi navi, si svuota lasciandomi solo su un acqua appena increspata e a tratti completamente abbonacciata. Man mano che mi avvicino, rifiuti galleggianti di varia natura punteggiano la superficie, gli effetti di una città di 16 milioni di abitanti si sentono a diverse miglia di distanza. La giornata di oggi si annota come una delle più noiose, un solo brivido quando sento la radio chiamare un'indefinita "sailing boat, sailing boat, this is..." e il nome del chiamante. Schizzo in coperta, hai visto ma che qualcuno col trasponder spento mi stia venendo addosso! Ma non c'è nessuno, non chiamavano me, mi rimetto comodo.
Verso le 16 sono sottocosta, il marina si trova in un'area che si divide fra lottizzazioni di edilizia popolare ed enormi gru per la movimentazione dei container. Entro nel marina, mi viene incontro il gommone di servizio con a bordo il cortesissimo personale che mi assiste nell'ormeggio, gli lancio le cime e mi sistemo bene. Mi chiedo se sono arrivato oppure no, nel senso che tecnicamente sto a Istanbul, la mia meta era questa, ma in realtà sto in una specie di cattedrale nel deserto, mi sentirò arrivato quando attraverserò il Bosforo a vele spiegate, per quando pare che dal ponte che unisce le due sponde della città in poi sia vietata la navigazione a vela. La sera, fra lo stridere ed il clangore delle gru accanto al marina, guardo sul monitor la traccia che ho percorso in questo mese di navigazione. Sono circa 1.200 miglia, veramente tante, fatte quasi ininterrottamente, con pochissime soste. Ma non mi sento stanco, nè fisicamente nè moralmente, vado avanti, sento che potrei farlo per molto ancora. Anzi, credo proprio che lo farò.
lunedì 1 luglio 2013
I Dardanelli: giocare a bowling nel ruolo di birillo
"E sentiamo Massinelli,
il mio re degli asinelli,
dove sono i Dardanelli?
Professore, io non lo so, lo dica lei."
La prima volta che ho sentito nominare i Dardanelli è stata da piccolo ascoltando mio padre che canticchiava questa canzone della sua infanzia (www.youtube.com/watch?v=8lOMVVG3Yps).
Dato che nella strofa precedente il professore interroga la signorina
Maccabei chiedendole dove sono i Pirenei, per anni ho creduto che i
Dardanelli fossero anch'essi una catena montuosa. Credo che la verità mi
si sia rivelata non molto tempo fa. La scoperta che si tratta del
medesimo pezzetto di orbe terraqueo che a scuola veniva indicato con il
nome di Ellesponto è poi cosa per me cosa veramente recente. Per i Turchi è, semplicemente Canakkale Bogazi, lo stretto di Canakkale, il primo porto che si incontra sulla sponda anatolica entrando dal Mar Egeo. Di fronte, 20 miglia più avanti, Gelibolou,
la Gallipoli della terribile sconfitta del 1915 subita dalla Triplice,
costata 250.000 morti sul versante anglo-francese e 150.000 su quello
turco e che è passata alla storia col nome di Campagna dei Dardanelli.
Nel goffo tentativo di forzare il blocco navale e penetrare in campo
nemico, gli alleati incapparono in uno sbarramento insuperabile e vennero ricacciati indietro dall'esercito Ottomano guidato dal giovane colonnello Mustafà Kemal, poi passato alla storia come Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. A Piazza Taksim, in questi giorni, i dimostranti inneggiano a lui, senza di lui la Turchia sarebbe oggi tutt'altra cosa, ben peggiore.
E' proprio Canakkale la mia meta, ma le mie intenzioni sono assolutamente pacifiche, la mia Campagna dei Dardanelli sarà tutta tesa a superare due soli ostacoli (non voglio dire nemici, fanno in fondo semplicemente il loro mestiere): il vento e la corrente. Entrambi forti, entrambi contrari per chi entra. Molta cautela quindi, potrebbe non essere una passeggiata, ma come al solito la mia filosofia è: dato che non me l'ha ordinato il dottore, se non ci si riesce, giro la prua e riprovo il giorno dopo o quando le condizioni meteo lo consentiranno.
La mattina mi sveglio alle 6 e mezzo, apro il tambuccio, bonaccia totale, si prevede smotorata, almeno all'inizio. Invece nel breve tempo di un caffè si alza una leggera brezza, tanto che quando salpo l'ancora e mi metto al timone l'anemometro segna 60 nodi. 60 nodi??? Proprio ieri ho notato che in testa d'albero le alette del Windex si sono piegate e la freccetta incastrata fra di esse, se ora mi molla pure la stazione del vento... Poi però mi dico: ma tutte 'ste diavolerie, sulla cui utilità non si discute, sono proprio indispensabili? Quando avevo il Laser, una piccola barchetta lunga poco più di un surf, la mia stazione del vento si riduceva ad un pezzetto di nastro magnetico saccheggiato da una vecchia videocassetta e in tanti anni non s'è mai rotta. Su Piazza Grande ho i guidoni alle crocette che possono svolgere la stessa funzione in modo egregio, saranno loro il mio Windex durante la navigazione di oggi. E quello che non faranno i guidoni, lo faranno le mie orecchie. Avete mai provato a sentire il vento con le orecchie? Muovete la testa lentamente, quando siete perfettamente nel suo letto, il vento fa un rumore diverso, quella è quindi la direzione da cui proviene.
Alzo le vele e mi metto in rotta, non sono 60 nodi, ma 20 abbondanti sì, lo dico con certezza perché miracolosamente l'anemometro torna a funzionare. Navigo di bolina stretta, c'è mare, sono costretto a poggiare qualche grado altrimenti lo scarroccio vanificherebbe ogni mio tentativo di avanzare. Saggiamente ieri ho girato sul lato nord di Lemos, proprio per avere possibilità di poggiare nel caso l'andatura al vento fosse risultata oggi troppo stretta. Se avessi girato sul lato sud, più breve, oggi mi troverei costretto a bordeggiare, faticando non poco visto che c'è almeno un metro d'onda. Man mano che mi avvicino il mare cambia colore,dal blu intenso dell'Egeo greco, al grigio verde che mi ricorda tanto le tristi acque di casa, Fiumara Grande, la foce del Tevere. Decollando dall'aeroporto di Fiumicino e guardando in basso, si nota una specie di enorme fungo marroncino, sono i detriti ed il fango trasportati dal fiume e sputati in mare, unitamente ad una cospicua dose di inquinanti di ogni genere. I Dardanelli non sono un fiume, ma sputano anche loro acque sporche, inquinate, provenienti dagli scarichi delle tante industrie e metropoli che affollano le sponde del Bosforo e del Mar Nero. Solo Istanbul conta 16 milioni di abitanti, poi ci sono Odessa, Sebastopoli, decine e decine di milioni persone che tutte le mattine si alzano e fanno i loro bisognini che nella maggior parte dei casi arrivano in mare senza subire alcun processo di depurazione. L'idea di galleggiare sulla diuresi turco-exsovietica non mi esalta per niente, cerco di non pensarci e mantenere la rotta.
Il vento aumenta, sfiora i 30 nodi e gira leggermente verso nord, in modo quindi favorevole, posso orzare qualche grado. Purtroppo così mi trovo il mare esattamente sulla prua, sono onde corte e ripide, veramente antipatiche. Piazza Grande su alcune sbatte, su altre infila la prua, che viene leggermente sommersa per poi riemergere sollevando acqua e schiuma che spazzano la coperta. Benedetto sprayhood, non prendo una goccia, resto completamente asciutto! Mi accorgo che la manica a vento, o dorade come la chiama qualcuno, della cabina di prua non è stata girata, c'è il rischio che qualche secchiata d'acqua mi finisca sul materasso. Controvoglia metto la cintura di sicurezza e vado a prua per orientarla verso poppa. Nonostante il vento sia girato, continuo a scadere in latitudine, evidentemente lo scarroccio è notevole con questo mare, oppure gli effetti della corrente dei Dardanelli comincia a farsi sentire, secondo il portolano si avvertono anche a 15 miglia di distanza.
La mattina mi sveglio alle 6 e mezzo, apro il tambuccio, bonaccia totale, si prevede smotorata, almeno all'inizio. Invece nel breve tempo di un caffè si alza una leggera brezza, tanto che quando salpo l'ancora e mi metto al timone l'anemometro segna 60 nodi. 60 nodi??? Proprio ieri ho notato che in testa d'albero le alette del Windex si sono piegate e la freccetta incastrata fra di esse, se ora mi molla pure la stazione del vento... Poi però mi dico: ma tutte 'ste diavolerie, sulla cui utilità non si discute, sono proprio indispensabili? Quando avevo il Laser, una piccola barchetta lunga poco più di un surf, la mia stazione del vento si riduceva ad un pezzetto di nastro magnetico saccheggiato da una vecchia videocassetta e in tanti anni non s'è mai rotta. Su Piazza Grande ho i guidoni alle crocette che possono svolgere la stessa funzione in modo egregio, saranno loro il mio Windex durante la navigazione di oggi. E quello che non faranno i guidoni, lo faranno le mie orecchie. Avete mai provato a sentire il vento con le orecchie? Muovete la testa lentamente, quando siete perfettamente nel suo letto, il vento fa un rumore diverso, quella è quindi la direzione da cui proviene.
Alzo le vele e mi metto in rotta, non sono 60 nodi, ma 20 abbondanti sì, lo dico con certezza perché miracolosamente l'anemometro torna a funzionare. Navigo di bolina stretta, c'è mare, sono costretto a poggiare qualche grado altrimenti lo scarroccio vanificherebbe ogni mio tentativo di avanzare. Saggiamente ieri ho girato sul lato nord di Lemos, proprio per avere possibilità di poggiare nel caso l'andatura al vento fosse risultata oggi troppo stretta. Se avessi girato sul lato sud, più breve, oggi mi troverei costretto a bordeggiare, faticando non poco visto che c'è almeno un metro d'onda. Man mano che mi avvicino il mare cambia colore,dal blu intenso dell'Egeo greco, al grigio verde che mi ricorda tanto le tristi acque di casa, Fiumara Grande, la foce del Tevere. Decollando dall'aeroporto di Fiumicino e guardando in basso, si nota una specie di enorme fungo marroncino, sono i detriti ed il fango trasportati dal fiume e sputati in mare, unitamente ad una cospicua dose di inquinanti di ogni genere. I Dardanelli non sono un fiume, ma sputano anche loro acque sporche, inquinate, provenienti dagli scarichi delle tante industrie e metropoli che affollano le sponde del Bosforo e del Mar Nero. Solo Istanbul conta 16 milioni di abitanti, poi ci sono Odessa, Sebastopoli, decine e decine di milioni persone che tutte le mattine si alzano e fanno i loro bisognini che nella maggior parte dei casi arrivano in mare senza subire alcun processo di depurazione. L'idea di galleggiare sulla diuresi turco-exsovietica non mi esalta per niente, cerco di non pensarci e mantenere la rotta.
Il vento aumenta, sfiora i 30 nodi e gira leggermente verso nord, in modo quindi favorevole, posso orzare qualche grado. Purtroppo così mi trovo il mare esattamente sulla prua, sono onde corte e ripide, veramente antipatiche. Piazza Grande su alcune sbatte, su altre infila la prua, che viene leggermente sommersa per poi riemergere sollevando acqua e schiuma che spazzano la coperta. Benedetto sprayhood, non prendo una goccia, resto completamente asciutto! Mi accorgo che la manica a vento, o dorade come la chiama qualcuno, della cabina di prua non è stata girata, c'è il rischio che qualche secchiata d'acqua mi finisca sul materasso. Controvoglia metto la cintura di sicurezza e vado a prua per orientarla verso poppa. Nonostante il vento sia girato, continuo a scadere in latitudine, evidentemente lo scarroccio è notevole con questo mare, oppure gli effetti della corrente dei Dardanelli comincia a farsi sentire, secondo il portolano si avvertono anche a 15 miglia di distanza.
Tengo continuamente d'occhio l'AIS, lo strumento che mi indica sul monitor tutto il traffico marittimo intorno a me. La carta elettronica è cosparsa di triangolini colorati, tutti sulla direttrice dello stretto, chi in un senso chi nell'altro, come insetti in processione. Per il momento preferisco tenermi leggermente discosto, qualche miglio a nord, in modo da lasciare acqua sottovento fra me e le tante navi, spesso non individuabili a occhio nudo. La mia posizione sulla carta è rappresentata con una piccola barchetta rossa; davanti, una freccetta indica il punto dove mi troverò fra 20 minuti. Data l'incostanza della velocità, la freccetta si allunga e si accorcia continuamente, sembra una linguetta, piccolo pungiglione. Ecco, mi piace immaginarmi così, una piccola ape operosa che avanza in mezzo a nuvole di insetti molto più grandi di lei, lenta e costante, imperturbabile ma pronta a tutto. In un momento in cui il mare allenta un pochino la presa, mi faccio un caffè. Mentre lo sorseggio penso che sto bevendo un caffè italiano, su una barca tedesca, navigando in acque greche, con la prua rivolta verso la Turchia mentre lo stereo mi manda a tutto volume Across the universe degli inglesi Beatles: mi sento cosmopolita quando ammaino le vele ormai inutili ed accendo il Volvo Penta, riponendo nei suoi 29 cavalli il destino mio e della mia Campagna dei Dardanelli.
A poche miglia dal canale, accosto deciso a dritta. La circolazione nei due sensi è regolata come sulle strade, bisogna tenere la dritta, la destra, se continuassi per questa rotta farei la fine di quelli che imboccano l'autostrada contromano. La mia velocità nel frattempo è calata parecchio, col motore a 2200 giri faccio 4 nodi scarsi, ne dovrei fare 7 se non ci fosse la corrente; non è calata invece quella delle navi che percorrono la mia stessa "corsia", sono tutte tra i 10 ed i 15 nodi, il che vuol dire che sarò come un'ape sì, ma Piaggio, su un autostrada percorsa da autoarticolati. Ho un leggero brivido lungo la schiena, mentre mi preparo a subire sorpassi a colpi di clackson. Osservo le navi intorno a me, sono tante, sono enormi, lunghe più di 200 metri, impressionanti. Quelle in ingresso sono tutte molto alte al galleggiamento, il contrario di quelle in uscita, segno evidente che entrano vuote ed escono piene, segno evidente che l'occidente compra più di quello che vende, segno evidente che l'occidente continuando così...
Ammaino la bandiera greca ed alzo quella turca e quella gialla, la lettera Q dell'alfabeto delle comunicazioni
marittime. Indica che non ho persone malate a bordo e chiedo libera
pratica. Spero non costituisca impedimento il forte mal di pancia che ho
da un paio di giorni, eredità, credo, dell'unico ristorante che mi sono
concesso, dove ho ordinato agnello e mi sono ritrovato nel piatto una
specie di lesso, un pezzo di carne ricco di tessuto connettivo. Chissà
se è lui il colpevole dei miei crampi.
Scorgo a sinistra l'imponente monumento di guerra turco, una brutta ed enorme colata di cemento che celebra la vittoria di Ataturk, sono proprio sull'uscio! Cerco di mantenere una rotta più costante possibile, in modo che le navi che mi superano non abbiano esitazioni se farlo a dritta a sinistra. Noto che accostano tutte con discreto anticipo, evitando di farmi pelo e contropelo, forse me la passerò meglio dell'Ape in autostrada. Più avanzo, più la corrente aumenta, è impressionante, faccio meno di due nodi pur sentendo il motore cantare alegramente. Provo a spostarmi più vicino la costa, il portolano dice che lì la corrente si avverte di meno. Se non altro in questo modo la prendo un po' di taglio, la velocità aumenta leggermente. Continuo ad osservare l'AIS, ogni tanto noto qualche freccetta che punta esattamente su di me e questo un pochino mi inquieta, soprattutto perchè io sono poco manovriero per via della corrente, le navi che mi puntano per via della loro enorme mole.
Ad un certo punto vedo sulla mia poppa un profilo sormontato da un enorme castello, o torretta, non so qual è il termine più appropriato. Sembra una portaerei, proprio dietro di me, proprio sulla mia scia, ad una velocità che lascia presagire un impatto nel giro di pochi minuti. Proseguo imperterrito, dando spazio a tutto il sangue freddo di cui sono capace. A poche centinaia di metri da me, il mostro accosta qualche grado, non è una portaerei, ma un cargo gigantesco, mi passa vicino, intravedo le sagome delle persone sul ponte di comando, dietro i vetri scuri. Torm Ismini si chiama, 228 metri, 13,4 nodi di velocità. Non è il solo grattacielo galleggiante che mi passa accanto, lo faranno parecchie navi, tutte con ampi margini di sicurezza devo dire. Ma quando le vedi da lontano che ti puntano, quando l'AIS ti avverte che fra poco sarai investito da un ammasso ferroso di dimensioni inimmaginabili, puoi solo metterti buono e sperare che la bestia abbia già pranzato, che sia sazia e che per questo le sue avide fauci ti grazieranno: oggi, almeno.
La corrente nel primo tratto la stimo sui 4 nodi almeno, poi cala leggermente quando lo stretto si allarga un pochino. In questo punto noto però che, malgrado la mia prua sia bene sulla rotta che intendo fare, il GPS mi da un percorso fuori asse di almeno 40 gradi, una numero enorme, evidentemente la corrente mi colpisce di fianco in modo molto più violento di quello che penso. Mi domando come fosse possibile avanzare in questo mare prima dell'invenzione della propulsione meccanica, fra corrente e vento, che è di nuovo sui 30 nodi, nessuna imbarcazione a vela può illudersi di mettere la sua prua verso est in queste acque. Non mi risulta nemmeno ci siano cicli di corrente entrante ed uscente, come nello Stretto di Messina, dove conoscendo gli orari si può sfruttare il movimento della acque a proprio favore. Remigio Zena, un genovese che nel 1875 ha pecorso a bordo di Dafne, un veliero di 12 metri, la mia stessa rotta, racconta che dopo un tentativo di ingresso nel canale, sono stati costretti a mettersi alla fonda ed attendere un rimorchiatore, loro ed un'altra quarantina di imbarcazioni di tutte le dimensioni. Ma un rimorchiatore è un qualcosa di motorizzato, prima ancora come si faceva a fare rotta per Istanbul, per la Crimea, per le tante città del Mar Nero?
Quando il canale si restringe, la mia velocità cala nuovamente.
Canakkale è lì d avanti a me, la vedo perfettamente, ma a 2 nodi, 3 al
massimo, ci vuole ancora tempo. Un windsurf, sfruttando il forte vento,
mi sfreccia davanti alla prua, lo prendo come un buon segnale,
un'immagine di svago che mi distoglie per un attimo dall'atmosfera
mercantile che mi circonda da qualche ora. Poi, però, un sommergibile mi riporta a tutt'altra realta. Fra poco dovrò fare i conti
anche col traffico perpendicolare al canale, quello dei traghetti che
uniscono continuamente le due sponde della città, ma per questo genere
di cose mi sono ben temprato attraversando più di una volta lo Stretto
di Messina, questi a confronto sono vaporetti!
Sono quasi le sette di sera quando entro nel piccolo marina della città, raccolgo la trappa col mezzo marinaio, lancio le mie cime in banchina e finalmente eccomi in Turchia. Si fa per dire, perchè finchè non espleto le formalità di ingresso, non posso uscire dalla recinzione del porto, ben recintato e segnato come confine di stato. Ormai è tardi, gli uffici sono chiusi, se ne parla domattina, resto consegnato come al militare, con i turchi non si scherza, sono molto suscettibili sulle loro leggi. Canakkale, d'altra parte, non pare essere un posto da urlo, farò con calma un giro domani, quando mi lascieranno uscire di cella. Allah u achbar, urla il muezzin dall'alto di un minareto, ma la voce gracchia, è una registrazione, non ci sono più i muezzin di una volta, proprio come i marinai veri, quelli che facevano i Dardanelli senza l'ausilio di tecnologie moderne.sabato 29 giugno 2013
Plakas, un porto senza case e senza diporto
Sono arrivato un po' per caso a Ormos Plakas, sulla costa orientale di Limnos. Volevo spezzare le miglia che mi rimangono per entrare nei Dardanelli, avevo bisogno di un posto per passare la notte e date le condizioni meteo quest'ampia baia poco profonda mi è sembrata adatta. Due bracci di molo, due linee di frangiflutti, compongono un piccolo porticciolo di pescherecci. E' un posto strano, non ha un paese alle sue spalle, solo due case bianche su una collina, poi intorno nient'altro che campagna. La costa Turca, con la piccola isola di Goekceada è a sole 12 miglia, un tiro di schioppo praticamente, e per la prima volta nella mia vita, sono in un porto dove non ci sono altre imbarcazioni da diporto. Incredibile questa Grecia, la sorpresa, l'emozione, sono sempre lì ad attenderti, anche quando non le cerchi. Sì, è un posto di confine, lungo la strada sterrata corre perfino una fila di pali della luce, o telefonici non so, che danno un'aria da frontiera americana, una trasposizione nel tempo e nello spazio di quanto descritto magistralmente da tanti scrittori d'oltre oceano, Steinbeck prima di tutti.
Entro dentro il porto, un tizio in banchina mi indica a gesti dove ormeggiarmi, ma l'ecoscandaglio mi da 2,1 metri, temo che avvicinarmi ancora possa essere pericoloso, rischio di toccare sul fondo. Provo a mettermi fuori dal porto, ridossato comunque dai frangiflutti, un'altro tizio mi fa segno di non avvicinarmi troppo alla costa, guardo di nuovo l'ecoscandaglio, 1,9 metri, lo ringrazio e ingrano la retromarcia. Do fondo 50 metri oltre, vicino ad un piccolo peschereccio, l'uomo a bordo mi indica col dito un punto sicuro, poi in un inglese discreto mi chiede dove vado e da dove vengo. Quest'anno il tempo è buono, mi fa, alludendo evidentemente al Meltemi non ancora in regime estivo. Ovunque vada trovo cordialità, gentilezza, non mi sono mai sentito una preda da spolpare, come invece avviene in tanti altri paesi del mondo, l'Italia per prima.
Non ci sono rumori, solo ogni tanto il rombo lontano di un'auto che fugge via alzando una nuvola di polvere, la piccola spiaggia che divide il mare dalla campagna brulla e deserta è ricoperta di posidonia morta, poco più in là, all'ombra di alcuni eucalipti, un piccolo stormo di gabbiani si gode il riposo di fine giornata. Voglio imitarli, domani voglio essere riposato per affrontare le miglia che mi rimangono per entrare in Turchia ma soprattutto essere fresco per i Dardanelli, un passaggio che può creare non poche difficoltà ad una piccola barca, per le forti correnti contrarie e per l'intenso traffico di grandi navi. Intanto preparo la bandiera della Turchia per alzarla nel momento in cui entrerò nelle acque territoriali di quel paese. Il confine è là, poco oltre il faro, domani attraverserò la frontiera, domani sarò oltre il confine.
venerdì 28 giugno 2013
Limnos, un'isola viva e tranquilla.
Lasciare il paradiso non è una cosa che si fa a cuor leggero. Stamattina mi sono svegliato con calma, ho fatto il caffè e mi sono seduto sulla tuga a guardare la fantastica insenatura dove ho passato la notte, certo che a Skiros prima o poi ci tornerò. Mi tocca il bagno mattutino, un tuffo per andare a terra a recuperare la cima che tiene Piazza Grande ferma sulla sua linea d'ormeggio, un'esperienza tonificante, frizzantina, nonchè esaltante per l'incredibile trasparenza dell'acqua. Salpo l'ancora, poi giro la barca e torno indietro per dare l'ultimo saluto a Francesca e Giovanni, che percorreranno da oggi una rotta diversa dalla mia. Vieni a farci l'inchino?, scherza Giovanni. In un certo senso sì, voglio ringraziare ancora una volta i miei amici per l'affetto che mi hanno dimostrato in queste settimane di navigazione insieme. Un cenno, un sorriso, poi metto la prua verso il mare aperto ed esco dalla baia senza voltarmi indietro. Odio gli addii strazianti, odio l'indugio nei saluti, anche se questo non è certamente un addio; ci rivedremo, ne sono certo, molto presto da qualche parte in questo Egeo meraviglioso.
In un mare liscio come l'olio percorro a motore, senza fretta, le poche miglia verso est che mi consentono di scapolare Capo Lithari, poi mi metto in rotta verso nord, ancora non so esattamente per dove. Deve esserci un po' di corrente contraria, perchè per fare più di 5 nodi devo mettere il motore più su di giri del solito. Di vento invece non ce n'è, non sufficiente a navigare almeno, ma meglio la calma piatta che il Meltemi sul naso! Sempre preso dal mio obiettivo supremo, Istanbul, e sempre convinto che questo buco di vento vada sfruttato al massimo, guadagnando quanto più possibile in latitudine, sono tentato dal mettere la prua direttamente sui Dardanelli. Dovrei fare una notte di navigazione, però, e l'ingresso dello stretto, oltre che problematico per le correnti contrarie, è anche uno dei punti del Mediterraneo a più alta densità di traffico di navi mercantili. A questo aggiungiamo che le previsioni danno, dalle 3 UTC di stanotte, quindi dalle 6 locali di domani, vento contrario piuttosto forte, intorno ai 30 nodi. Forse sarebbe un azzardo, soprattutto perchè a Skiros non sono riuscito a scaricare un bollettino meteo aggiornato. Ok, continuo così, direzione Limnos, un'isola piuttosto grande più o meno sul meridiano dei Dardanelli, arriverò col buio, ma a questo penserò quando sarà il momento.
Avanzo con davanti, in lontananza, il profilo sfumato di Eustriatos, una piccola isola, piuttosto distante da tutto, dalle rotte commerciali e da quelle classiche del diporto, per quanto di diporto quassù non ce ne sia poi molto. Non sono infatti molte le barche che tentano di risalire il Meltemi, soprattutto ad estate già iniziata. Eustriatos mi tenta, è proprio il genere di isola che piace a me, quella con pochi abitanti, con poco turismo, con poca confusione. Ma rischio di rimanere intrappolato lì se il Meltemi nei prossimi giorni dovesse riprendere a soffiare forte, ed io potrei mancare clamorosamente questa opportunità fortunata di avvicinarmi alla mia meta. Da domani dovrò stare fermo per almeno 48 ore, in attesa che passi una nuova sfuriata. All'orizzonte scorgo qualcosa che somiglia al profilo di Manhattan, è un'enorme porta-container, l'AIS, lo strumento che mi informa su tutto il traffico marittimo intorno a me, dice che è lunga più di 200 metri. L'altezza direi che è proporzionale ed i container impilati a sbalzo gli conferiscono il curioso aspetto di uno skyline fatto di grattacieli. Poi null'altro, solo mare, blu, intenso, vivido.
Prima, mentre guardavo l'AIS sullo schermo del computer, mi sono
accorto che per quanto non scorga nessuno all'orizzonte, c'è un
incredibile traffico mercantile verso e dai Dardanelli, una fila
interminabile di navi che come formiche operose percorrono nei due sensi
la strada per il loro formicaio dopo essersi rifornite di cibo. In
effetti, buona parte di questo traffico è fatto di petroliere che vanno e
vengono dal Mar Nero, dove riempono le stive col loro prezioso carico
di oro nero di provenienza russa. E' il modo in cui il mondo occidentale
si approvvigiona del cibo di cui ha più fame, l'energia. Sorrido
pensando che sono spinto dal vento, un'energia inestinguibile che se
assecondata può portarmi ovunque. Il traffico è così intenso che le navi
si chiamano continuamente fra loro sul VHF percomunicarsi le variazioni
di rotta che eseguono per evitare l'abbordo.
Nel primo pomeriggio si alza un po' di vento, do vela, Piazza Grande si
mette sui 5 nodi e mezzo e finalmente si spegne il rumore scoppiettante
dell'entrobordo. Captando probabilmente il segnale dal ripetitore di
Eustriatos, riesco a collegarmi ad Internet e scaricare delle previsioni
meteo aggiornate. L'orario di inizio del vento forte è stato
posticipato di qualche ora, sono tentato di accostare a dritta e tentare
di raggiungere Canakkale, primo porto della Turchia. Però ci penso
bene, sarebbe parecchio stancante e mi costringerebbe ad entrare nello
stretto dei Dardanelli di notte. Desisto e lascio la prua su Limnos,
mentre alla mia sinistra, un piccolo stormo di gabbiani, volteggia in
aria e percorre un pezzettino di rotta insieme a me.
Non arriverò prima di notte, quindi apro il portolano per scegliere bene
l'atterraggio. Inzialmente pensavo di entrare nella grande baia che c'è
a sud e fermarmi a Mudrou, dove c'è un porticciolo con una piccola
banchina. Però, tentare un accosto di notte, da solo, in un porto che
non conosco, non mi sembra il caso. Decido allora di andare a Myrina,
sul lato ovest dell'isola, dove il porto è dentro una grossa insenatura
naturale con fondo sabbioso. E' li che passerò la notte, all'ancora, per
poi andare in banchina col favore della luce dell'indomani. Quando il
sole inizia a calare, un tramonto meraviglioso mi rivela in controluce
il profilo dell'ultimo dito della penisola Calcidica, lo spettacolo è
veramente mozzafiato.
Verso le 10 di sera incomincio a vedere le luci dell'isola e poco dopo i
fanali rosso e verde di ingresso nel porto. I fari di un auto che
percorre un tornante sul profilo della costa ingannano per un istante il
mio occhio, dando l'illusione di un faro che non c'è. Accade spesso
quando la strada punta verso il mare e poi con una brusca curva rientra
verso la costa, che le macchine illuminino il mare con lampi
intermittenti, come appunto fanno i fari. Ma lo so, ci sono cascato una
volta tanti anni fa, ora controllo bene la carta prima di allarmarmi.
Alle 11 entro nell'avanporto e do fondo all'ancora su 5 metri di sabbia,
fra un grosso ketch francese ed una piccola barca inglese. Il lungomare
è acceso di taverne e bar, lo guardo dal pozzetto mentre festeggio
l'arrivo con una birra gelata.
La mattina seguente mi sveglio dopo un sonno profondo e subito sento che
il vento, preannunciato ieri, è certamente arrivato. Do uno sguardo
all'anemometro, le raffiche arrivano a 30 nodi, andare in banchina
potrebbe risultare difficoltoso, ma tanto nessuno sembra aver intenzione
di mollare le cime e spazi liberi non ne vedo. Un po' mi girano le
scatole, ho bisogno urgente di fare cambusa e poi una passeggiata a
terra a dare uno sguardo a quello che sembra essere un paese molto
carino ho proprio voglia di farla. Torno sottocoperta e dopo poco la
barca risuona dell'inconfondibile rumore della catena di un ancora che
viene sollevata, qualcuno pare aver deciso di salpare. Piazzo rapido i
parabordi su entrambi i lati, do volta a due cime a poppa e ne tengo
altre due a portata di mano, poi, non senza qualche difficoltà per il
vento sostenuto, recupero la mia ancora e mi avvio in banchina. Non è
una manovra facile da eseguire da solo, il vento oltre ad essere
parecchio è proprio laterale, il peggio che si possa avere per
accostare. Beh, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo, mi
faccio coraggio, sul molo vedo un paio di persone già pronte ad
afferrare le mie cime, gli faccio un cenno di conferma, cerco il punto
dove calare l'ancora, mi sposto qualche metro sopravvento e corro a prua
ad aprire la frizione del verricello e lasciar filare un paio di volte
il fondo, che sta sui 6/7 metri. Poi serro la frizione quel tanto che
blocchi la caduta libera della catena e torno a poppa per manovrare.
Devo dare parecchio gas per mantenermi allineato, leggermente
sopravvento per sicurezza, ma calcolo che alle brutte mi appoggerò alla
barca sottovento che pare tosta ed in grado di reggermi per qualche
minuto. Invece arrivo esattemente perpendicolare, perfettamente
allineato al calumo, lancio le cime, le recupero passate a doppino ed il
gioco è fatto. 10 e lode, manovra perfetta! Per sicurezza metto anche
uno spring a prua, servirà ad evitare all'ancora una eccessiva trazione
laterale.
Per prima cosa mi reco in Capitaneria, sono certo che qui
avranno il tanto sospirato Dekpa, il porto di Limnos è importante. Il
comando, proprio sulla piccola piazza dietro la banchina, è in un
vecchio palazzetto degli anni '20, l'atrio e le scale sono pavimentate
con la tecnica che si usava allora frequentemente anche in Italia, il
cosiddetto seminato veneziano, un impasto di calce frammisto a schegge
di marmo, che da un tocco di eleganza ad un edificio altrimenti austero
come si conviene ad un piccolo ufficio pubblico di provincia. Buone
notizie, ce l'hanno! Me lo riferisce una gendarme molto carina e
professionale, però devo prima andare a pagare la tassa all'ufficio
imposte, a circa un Km e mezzo di cammino. Che vuoi che sia, mi faccio
spiegare bene dov'è e vado. Taxes office, mi spiega la marinaia,
"euforia" in greco. Beh, euforia nel pagare le tasse mi pare troppo,
però trovo poca fila, cortesia, e in mezzora me la sbrigo. Se penso ad
un paio di mattine sane passate all'Agenzia delle Entrate di Viale
Trastevere poco prima di partire...
Per una volta i vicini di ormeggio sono simpatici, due coppie anziane,
una francese ed una olandese. Quest'ultima inizia a parlarmi, non
capisco, chiedo di ripetere, continuo a non capire. Poi lui mi chiede:
ma non sei fiammingo? Ah, accidenti, la bandiera belga! No, italiano,
non è la prima volta che mi parlano in questa misteriosa lingua dopo
avermi preso per suddito di re Leopoldo. Faccio due passi, il paese è
molto carino, semplice, dominato dalla rocca, una fortificazione
bizantina edificata su resti antichi e passata poi di mano in mano
seguendo il corso della storia ed il susseguirmi delle dominazioni; in
alto svetta ora maestosa la bandiera della Democrazia Greca.
Passeggio
per il piccolo corso coperto di rampicanti, poi provo a perdermi nei
vicoli, ma sono poche stradine in tutto e rapidamente esaurisco
l'acciottolato percorribile. Faccio la spesa, bevo una birra ad un
tavolino, poi me ne vado a vedere il lungomare dal lato opposto al
porto. Una lunga fila di bar, tutti piuttosto eleganti e alle spalle
tante piccole e graziose costruzioni in stile coloniale, evidentemente
edificate nello stesso periodo dell'ufficio della CP. Pochissime le auto
in giro, dappertutto si respira un'aria tranquilla, specialmente in
porto, tutto praticamente pedonalizzato e tenuto lucido come uno
specchio. Mi piace questo posto, semplice, pulito, curato ma non
fichetto. Chissà com'è il resto dell'isola, ci sono altri nuclei
abitati, ma non ho molta voglia di cercare un motorino in affitto e
mettermi a guidare. Non lo faccio da un mese, anzi, prima di partire ho
proprio venduto la macchina, tanto sapevo che per qualche mese non mi
sarebbe servita, inutile continuare a pagare bollo e assicurazione per
lasciarla marcire in strada.
In serata conosco Anghelos, che non è un greco ma un umbro doc, un
velista che frequenta lo stesso forum, ADV, dove scrivo spesso anch'io.
Ha visto il guidone che ho sotto la crocetta di sinistra e si è
avvicinato. E' piccolo il mondo, quest'inverno avevo risposto ad un suo
annuncio per comprare un'ancora che vendeva, a saperlo me la facevo
consegnare qui! Stamattina un ragazzo che è a bordo con lui mi aveva
fatto notare che qualcuno aveva lasciato un credito di 3 euro nella
colonnina dell'elettricità proprio di fronte a me, perchè non
approfittarne quindi per dare una bella ricaricata alle batterie. E
dulcis in fundo, ci sono anche i bagni con le docce, non il top in fatto
di eleganza e pulizia, ma sono gratis, ci si accontenta, come gratis è
l'ormeggio ed un sacco di altre cose che invece in Italia si pagano e
spesso sono in condizioni peggiori.
Cena frugale, qualche chiacchiera su FB, poi a nanna. Il vento fischia ancora forte fra le sartie, domani sarò senz'altro ancora qui e confesso che la cosa non mi dispiace affatto.
Cena frugale, qualche chiacchiera su FB, poi a nanna. Il vento fischia ancora forte fra le sartie, domani sarò senz'altro ancora qui e confesso che la cosa non mi dispiace affatto.
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