Lenta fra la nebbia, la lancia che trasportava il piccolo drappello di soldati americani con il compito di ritrovare ed eliminare il colonnello Kurtz, praticamente uscito di senno, risaliva il fiume Mekong per sfuggire alle imboscate dei vietcong, mentre la voce di Jim Morrison interpretava magistralmente l'emozione di quella che secondo il regista Coppola era l'Apocalisse adesso. Viceversa, il taxi che ci porta al monastero di San Giovanni e alla grotta dove la tradizione vuole che abbia scritto l'Apocalisse (allora, non adesso), procede a velocità sostenuta lungo i tornanti che conducono in cima alla collina dove l'imponente costruzione domina l'isola e le baie tutto intorno. Uno se ne sta in Grecia, convinto di trovare continui riferimenti alla cultura classica ed ellenistica, quando all'improvviso sbuca fuori un importante sito paleocristiano che più paleo non si può.
Chissà perchè Giovanni da Betsaida, località al confine delle attuali Siria ed Israele, ha scelto proprio Patmos per darsi alla letteratura religiosa (ok, aveva già scritto l'unico vangelo canonico non sinottico). In effetti, qualcuno mette in dubbio che Giovanni di Patmos e Giovanni l'evangelista e apostolo siano la stessa persona, mentre altri ritengono invece con certezza che sia così. Sia come sia, su questa piccola isola del Mar Egeo, dentro una grotta bassa e umida, un tal Giovanni ha scritto l'Apocalisse, dal greco apokalypsis che significa rivelazione. In realtà in questo libro l'autore rivela ben poco, preferendo l'allegoria al parlar chiaro e lasciando, volente o nolente, ampi margini interpretativi a lettori ed esegeti che possono così a tirare la coperta dal lato a loro più comodo. La grotta si visita dietro pagamento di 2 euro, dentro c'è un altare, qualche panca per ospitare i fedeli e poco altro. Mi ricorda molto la grotta della natività a Betlemme, che ho visitato tanti anni fa, anch'essa in mano alla chiesa ortodossa, stessi paramenti sacri all'interno, stesse icone, qualche pope in giro a fare coreografia. Uno di essi lo vedo dirigersi verso una ragazza seduta in terra in posizione yoga, gambe incrociate e dita pollice e indice unite: This is not a home, gli dice seccato, mentre la tipa, senza scomporsi troppo, si alza e va a sedersi su una sedia nella medesima posizione, riprendendo la meditazione bruscamente interrotta dall'ecclesiastico. Sarei quasi tentato di andare lì e dirle: Hey, stai facendo confusione, per lo yoga è la seconda porta in fondo alle scale, qui solo raccoglimento e preghiera. Poi però mi viene in mente che recentemente nella chiesa della natività i preti delle diverse confessioni cristiane si sono presi a randellate e penso che allora meglio un po' di yoga che almeno si fa in silenzio e senza oggetti conduntenti in mano.
Il monastero |
Da Cinecittà a Patmos |
I mulini di Patmos |
La chora |
E' l'ultima sera per Roberta e Luciano, domani tornano a casa, direi soddisfatti del giro che abbiamo fatto insieme, dobbiamo fare un'ultima cena (tanto per restare in tema religioso) degna dell'evento. In realtà Luciano non ne può più di mangiare cernia, gliel'ho cucinata in tutti i modi possibili in barca, ma vista la mole dell'animale catturato ci abbiamo messo 3 giorni a smaltirla tutta. Con olive e capperi, scottata in un filo d'olio, a carpaccio con olio, sale e grani di pepe, a zuppa con patate, cipolle e tozzetti di pane bruscato, con le linguine, la mia fantasia si è esaurita giusto insieme all'ultimo filetto che tenevamo in frigo.
Antico palazzo nella chora |
Skala vista dal monastero |
Patmos è il luogo che abbiamo stabilito per il cambio equipaggio, partono Roberta e Luciano, arrivano Michela e Andrea, arrivano in nave, partiti da Roma passando per Bergamo, Kalamata, Atene, e Leros, utilizzando tutti i mezzi terrestri, aerei e navali, hovercraft escluso, che la teconologia mette oggi a disposizione dei turisti. L'importante è che siano alfine arrivati, sono stato molto bene con Roberta e Luciano, non dubito che starò benissimo anche con Michela e Andrea.
La sera andiamo tutti insieme a cena in una taverna di Skala, carina, sotto una pergola, la cucina, però, non è delle migliori, ci consoliamo con un ouzo, che non va bevuto liscio ma con ghiaccio, aspettando un paio di minuti che si sciolga trasformando un liquore trasparente in un liquido biancastro. La nebbia è acqua e anice, cantava Renato Carosone, guardo il mio bicchiere di ouzo, anice dopo tutto, e penso che ha ragione, penso che in questa nebbia navigo nell'isola dell'Apocalisse, adesso.
Complimenti Luciano!!!Non c'è da aggiungere altro a questi tuoi racconti "veri e vissuti"!!!
RispondiEliminaWalter Ruffini
Capitano gran bel racconto di questa tua tappa a Patmos, meriti ancora una volta grandi complimenti!
RispondiEliminaMi sembrava, in questo imminente Ferragosto cittadino (seppure al mare) di essere nell'agognata Grecia :)
B.V.
Ultimo, ti ringrazio per gli apprezzamenti e per la costanza con cui mi segui, io però non ho capito chi sei! :-)
EliminaNon ci conosciamo :-) sono un velista appassionato di Grecia che sogna di poter mollare tutto e seguire la vostra scia, ma tra il dire e il fare...
EliminaMi chiamo Fernando e vivo a Pescara.
Buon proseguimento e B.V.
bellissimo racconto, c'ero a maggio e leggerti mi ha fatto rivivere le stesse emozioni
RispondiEliminaMarioooo t'ha visto un bel mondo te come stai? Navighi? Scrivi.???? Noi si risalpa a settembre e patmos sarà' una delle mete un caro saluto a te e grazie al capitano di piazza grande che ci ha ospitato nelle sue pagine per questa rientree ciao Luciano, buon vento noi non ci si conosce, almeno per ora continua così. Acqua cheta
RispondiEliminaBravo capitano!
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