Dall'alto del kastro guardo il panorama attorno a me spandersi a 360 gradi fra piccole alture, mare, isolotti e nuclei abitati più o meno grandi che chiazzano di bianco il verde delle colline di Milos. Sono salito, conquistando la vetta gradino dopo gradino, per meglio osservare la situazione sul lato esposto al vento, verificando che forse questo è meno forte di quello che i vari siti meteo avevano previsto ma pur sempre sostenuto. Dopo di qui andrò ad ovest, verso il Peloponneso, la terraferma; Milos rappresenta quindi per me un punto, un confine oltre il quale l'Egeo costellato di isole diventerà un ricordo e lascerà spazio ad altri mari ed altre navigazioni, dato che per tornare a casa ho ancora più di mille miglia da fare. Sono seduto sullo scalino dell'onnipresente bianca chiesetta greca, sporadici turisti mi ronzano attorno scattando qualche foto con il telefonino, poi torna il silenzio, il leggero sibilo del vento ed il lontano riverbero del mare a fare da sottofondo. Sento i raggi caldi del sole sulla faccia e sulle braccia, respiro a pieni polmoni quest'aria mossa e carica di sale.
arrivato a Milos con una bella veleggiata di circa 40 miglia partendo da Folegandros, dove ho passato una giornata all'ancora perchè in banchina la risacca forte impediva di stare ormeggiati serenamente. Peccato, perché credo valesse la pena di fare quattro passi e la chora meritasse una visita, ma l’abbondanza di merce, la bellezza in questo caso, consente qualche piccolo spreco senza troppi rammarici. Qui a Milos, invece, scendendo dal kastro mi addentro per i vicoli di Plakas, scoprendo, come di consueto, angoli che sembrano le quinte di una rappresentazione teatrale. Poca la gente in giro, il vento spazza le strade creando vortici di sabbia mista a petali e foglie ormai secchi.
A proposito di sabbia, a Plakas c’è il museo della sabbia, un paio di locali con un insegna, la bottega di Asteris, che non è un gallo ma un greco, di Salonicco, che si è trasferito qui e con la sabbia realizza le sue creazioni artistiche. Entro a curiosare, mi mostra subito orgoglioso la sua collezione di sabbie, bustine e vetrini appesi al muro provenienti da tutto il mondo. Ne prende un paio, sono italiane, mi dice, accende il microscopio e mi schiude un mondo incredibile, fatto di cristalli, pezzetti di corallo e fossili di conchiglie invisibili ad occhio nudo. La Grecia è così, la bellezza a volte è evidente, altre è in un vicolo un po’ nascosto, racchiusa in minuscoli frammenti di arenile. Chiedo ad Asteris come nasca la sua passione, Ero geologo mi risponde, sto bene qui, mia figlia cresce tranquilla ed io mi guadagno la vita in modo sereno. Non posso che complimentarmi per la sua scelta e gli prometto di mandargli della sabbia da Roma, quella del Tevere, sperando che alla dogana non facciano controlli per l’Ufficio di Igiene, non so se mi spiego. Lo saluto fischiettando Alla renella, più cresce fiume e più legna vie’ a galla…
Amorgòs |
Amorgòs |
La mattina dopo l’imperdibile visita al monastero di Chozoviotissas (spero di averlo scritto bene), una spettacolare costruzione di epoca bizantina, tutta bianca, incastonata nella montagna altissima a picco sul mare. Non sembra nemmeno di stare in Europa, mi ricorda certi edifici che ho visto in Yemen, isole di colore nella roccia sabbiosa. L’unica via di accesso è un’interminabile scalinata scolpita nei sassi, arriviamo in cima che ci siamo sudati un terzo del nostro peso, anche in considerazione degli abiti non proprio estivi che abbiamo indosso, ma le guide turistiche si raccomandano: vestirsi in modo consono.
I ritratti dei monaci dentro il monastero di Chozoviotissas |
Ok, pope, grazie per la bevuta, dove prosegue la visita? E’ finita. Come finita? Sì, solo la chiesa e questa stanza sono visitabili, il resto è riservato ai monaci. Accidenti, sono veramente curioso di fare un giro, al monastero di Patmos solo la parte dei dormitori non è visitabile.
Alzo gli occhi e alle pareti ci sono i ritratti degli abati che si sono succeduti nei secoli, alcuni mi ricordano le foto che ho visto in Sardegna al bellissimo Museo del Banditismo di Aggius, in provincia di Sassari, e sorrido pensando che stavolta il ritornello italiani, greci, una faccia, una razza è proprio vero. Quasi quasi ci aggiungo la solita citazione di De Andrè: io senza legge rubai in nome mio, quegli altri nel nome di Dio…
I vicoli della chora di Amorgòs |
La banchina del porto di Amorgòs |
Lasciamo Amorgòs in direzione Ios, ma strada facendo voglio fermarmi qualche altra piccola ciclade, fra le tante scelgo Skinoussa, secondo il portolano c’è una rada molto ampia, ottima per un ancoraggio. Prima di entrarci dentro, do fondo su una piccola secca circa mezzo miglio fuori, tento un giro con il fucile dato che gli ultimi pezzi della grossa cernia che ho preso giorni fa sono finiti proprio ieri, ma non è aria, solo pescetti in giro, stasera faremo una bella padella di peperoni e patate. La rada è come promessa dal portolano, ci sono alcuni enormi yacht alla fonda, roba da super ricchi, cerco di ancorarmi lontano per non sentire il rumore dei loro generatori. In compenso subiamo l’incessante andirivieni dei loro tender, che chiamare tender è riduttivo, grossi gommoni con cui solerti marinai fanno la spola per sbarcare alcune dozzine di persone su una spiaggia privata, forse di una villa o un resort, dove poi la sera percepiamo gli inequivocabili segni di una festa in corso. Noi festeggiamo con un ouzo, è tutto quello che possiamo permetterci, ma non scambierei la mia serata con la loro.
Nella chora di Amorgòs |
Forse era meglio continuare col fiocco olimpico... |
Case colorate a Ios |
Sikinos |
Entro, ma il porto è piccolissimo, bastano due barche per occuparlo quasi tutto, in realtà ci sarebbe un pezzetto di posto, ma è in un angolo e da solo mi sembra una manovra veramente rischiosa. Una delle due barche è di un greco che ho conosciuto a Ios, mi fa cenno di andare, dice che mi aiuterà lui. Ringrazio, ma una più attenta osservazione mi conferma che non è il caso, esco e butto l’ancora davanti all’imboccatura, leggermente discosto per lasciare spazio al transito, il vento mi terrà il calumo disteso evitandomi di rollare durante la notte. Guardo la piccola baia, accidenti se è bella! Ci sono alcune case, molto carine, proprio sul mare, mi tuffo, raggiungo la riva a nuoto con la tecnica della zampa palmata, mettendo cioè le ciabatte nelle mani, sia per aumentare la spinta idrodinamica, sia per preservare i piedi poi durante la passeggiata. Ecco un altro posto dove lasciare il cuore, poca gente, tranquillità, un’isola piccola senza pretese modaiole o divertimenti forzati tipo dancing in spiaggia alle sei di mattina. Torno a bordo e mi preparo per la notte, vista la vicinanza all’ingresso del porto temo che la mia luce di fonda in testa d’albero possa non essere ben visibile, allora piazzo in pozzetto una striscia di led che ho comprato prima di partire addobbando Piazza Grande come un albero di natale.
Incanto! |
cosa dire dopo aver letto un racconto del genere? Vela, mare, Grecia..... hai tutto!
RispondiEliminaBV
Pietro
Mi sento di dire che a trequarti del tuo viaggio hai arricchito di molto il tuo "bagaglio interiore", sicuramente già di suo "pesante", e lo si nota dai toni ancora più profondi dei tuoi ultimi racconti: sempre più complimenti Capitano :)
RispondiEliminaB.V.
Pietro, Ultimo, grazie per la costanza con cui mi seguite, tanta dedizione va premiata, siete ufficialmente invitati a bordo, venite quando volete!
RispondiEliminaGrazie Capitano "mai dire poi", come mi ha detto Francesca sul suo blog P'Acà y p'allà di risposta ad un mio "prima o poi" :)
EliminaIl prossimo anno...magari!
B.V.